dAltrapARTE
corpo senza nomi
Martedì alle ore 15:00
via Castelguidone, 4 Roma
Raccogliere, “digerire” le diverse e complesse forme con cui la Cooperativa Passepartout articola le proprie pratiche.
Strettamente collegato alle attività teatrali e cinematografiche, il laboratorio si costituisce di volta in volta sulla base delle necessità che emergono dai movimenti culturali e artistici della Cooperativa. Si creano costumi e scenografie, si sperimenta la musica in relazione ai corpi in movimento, si incontrano artisti, si organizzano seminari, si visitano mostre e musei, si riflette e si guarda: un’opera, un film, un concerto, uno spettacolo teatrale; frequentando la città, passeggiando tra le rovine.
Presi per mano da SebastianO proviamo a percorrere gli spazi, le linee di fuga, le altezze, i piani di questa nostra città.
Camminare, accostarsi alla città senza pensare a delle mete, degli obiettivi, delle funzioni. Corpi che passeggiano per la città.
Al modo dei flâneurs descritti da Benjamin ne i «passages» di Parigi, lavoriamo ad imporre una presenza capace di generare luoghi, senza doversi preoccupare o essere sottomessi a nessun tipo di urgenza produttiva ed economica.
Camminare per gli angoli, le curve, i rettilinei, i negozi… sampietrini, pietre d’inciampo. Senza calcolo, senza nessun tipo di razionalità, se non quella di comporre e scomporre i propri corpi alla vista di un orizzonte.
Come in un’ opera di Cezanne, i nostri occhi proveranno a sfondare limiti e confini delle architetture, limiti e confini di questa nostra faticosa città.
Senza dover far nulla, se non camminare, guardare e guardarsi.
Guardare come azione fisica, corporea, mappatura immediata del come si compone il mio corpo con quello dell’altro, il mio corpo con quello della città: sovrapposizioni di e in un’archeologia del presente, che non ha origini né stratificazioni ma che “rende” il tempo di una presenza. Una presenza che può fare a meno di Krònos.
Dialoghi nel cinema
Un laboratorio sulla visione con Fulvio Baglivi
Fulvio Baglivi dal 2007 è autore della trasmissione televisiva Fuori Orario cose (mai) viste e collabora alle attività dell’Archivio film della Cineteca Nazionale. Ha lavorato al Torino Film Festival e al Festival Il vento del cinema. Nel corso degli anni ha scritto per Sentieri Selvaggi, Blow Up, Il Manifesto, Filmparlato.com e pubblicato tre libri per la Cineteca Nazionale dedicati al cinema di Fred Wiseman, Carmelo Bene e Raffaele Andreassi. Ha realizzato i cortometraggi CODA (2014), Il futuro di Era (2016) e ’77 no commercial use (2017).
Dialogando con Leucò
A cura di Cesare Pietroiusti
“Dissero nomi, questo sì. Tanto che a volte mi domando se furono prima le cose o quei nomi.”
(“Gli dei”, da Dialoghi con Leucò, di Cesare Pavese)
Il laboratorio riprende i Dialoghi con Leucò di Pavese e il lavoro che su di esso hanno compiuto i cineasti Jean-Marie Straub e Danièlle Huillet, cercando di cogliere l’importanza di quegli elementi del parlare che generalmente sono considerati accessori, collaterali o comunque non direttamente correlati a una significazione certa e consequenziale: pause, accenti, allungamenti, sonorizzazioni particolari di parole o di parti di parole.
Cesare Pavese, nell’opera, usa un modo di procedere che sembra irregolare, sfuggente; il suo è un linguaggio ambivalente, che sembra celare un non-detto, un altro tempo in cui le cose erano diverse, il tempo di “Quei loro incontri”. L’intero viaggio che il lettore compie attraverso l’opera è segnato da un senso di smarrimento, da una sensazione di perdita di una precedente stabilità, da una condizione in cui lo stesso linguaggio, come elemento di referenza a un senso definito, risulta oscuro, allusivo, inafferrabile.
Nel laboratorio, suggestionati dal lavoro cinematografico di Straub e Huillet, partendo da spunti fonologici, etimologici, poetici, mitici ecc., alcune parole vengono sottoposte ad un lavoro di “fluidificazione” della loro funzione significante, per verificare la possibilità di un nuovo rapporto, e forse di originali forme di ibridazione, tra nomi e cose.
Dialoghi nel cinema
Un laboratorio sulla visione con Fulvio Baglivi, Carlo S. Hintermann, Paul Senhal
La città è il mondo nel quale “già sempre ci troviamo”: siamo cioè immersi in quella struttura di relazioni, dispositivi soggettivanti e violenze “a bassa intensità”, forma delle nostre metropoli. Questa forma è ciò che ci troviamo e che ci fa sembrare ineluttabili ed ineludibili i nostri destini. La fissità, l’idea che un’altra vita sia impossibile è la tonalità emotiva che frequentiamo nelle nostre case, passeggiando per la città.
La città è quindi questo sentimento di impossibile poiesis delle nostre vite, di cemento infrangibile che ci rende impermeabili alle relazioni, ad ogni possibile respiro comune. Ad ogni possibile “vento di cambiamento”. Per questo motivo abbiamo deciso di affrontare dalle viscere più profonde questa città che abitiamo e che ci abita. Siamo convinti che sia possibile guardare, frequentare, toccare altrimenti i luoghi e gli ambienti che abitualmente attraversiamo; pensiamo sia necessario capire come i nostri corpi si possano comporre differentemente nella e con questa città.
Il corpo è questa esposizione attraverso la quale tocchiamo e guardiamo le cose che ci vengono incontro e che ci sembrano immutabili. E allora, sarà proprio a partire dal lavoro sul corpo che proveremo a sondare le possibilità di mutazione, di questo immutabile oggetto che abbiamo di fronte: la città.
Lo studio sul corpo sarà quindi, inevitabilmente, lo studio sulla città: i miei occhi, i miei gomiti non possono che comporsi e scomporsi con i viali, con gli orizzonti dei tetti e dei comignoli, in un “organismo” nel quale la dismisura è ciò che misura le relazioni.
Dove finisce il mio corpo e dove la città organizza la sua periferia?
Crediamo, in altre parole, che il sentimento di questa città che è, che si pone come un cemento infrangibile, sia un sentimento, appunto, che può essere “lavorato”, che può trasformarsi in una conoscenza altra e, quindi, in un sentimento altro. Ma bisogna mettersi in gioco, radicalmente, bisogna fare in modo che i nostri corpi si mettano ad ascoltare e ad ascoltarsi in modo da poter guardare ciò che altrimenti sfugge alla vista del consueto.
Si tratta di farci degli abiti nuovi, di vestirci e di vestire con un corpo che rinuncia alle proprie consolidate e definite definizioni.
Un corpo senza nomi è ciò che vogliamo attraversare per provare a guardare la città e quindi noi stessi con occhi rinnovati. Un corpo senza nomi come pratica per provare ad edificare una provvisorietà costitutiva della metropoli, dei soggetti e delle relazioni.
Un corpo senza nomi significherà lavorare ad una archeologia, attraverso la quale riusciremo a cogliere, con uno sguardo, le diverse temporalità in cui questo mondo ci si presenta.