ENEIDI
Un progetto a cura di nontantoprecisi
in collaborazione con
Passepartout Cooperativa
e
CREAZIONI COLLETTIVE
La scena di Eneidi è aperta dall’azione fisica degli attori che, sulla base di un lavoro di composizione di spazi, tempi e corpi, danno vita ad un dialogo visuale che compone figure e suscita immagini in grado di evocare vicende, di narrare storie.
Il movimento è attivato dal lavoro vivo che gli attori, sollecitati dall’attività laboratoriale di ricerca e sperimentazione, mettono in atto. Attraverso il loro gesto gradualmente lo spazio trova i suoi luoghi, il tempo si inscrive nell’azione e i corpi evocano presenze e sembianze di vite trascorse.
La trama si tesse nell’intreccio fisico e visuale dello spazio attraverso le sue linee e le possibili direzioni, nella modulazione delle durate e variazione dei tempi, nell’articolazione collettiva dei corpi che aspirano alla comune gestualità. La voce interviene come ulteriore segmento corporeo nelle cifre di suono e parola, con l’ambizione di sottrarsi alla prigione del significato per costruire nei sensi il suo senso più carnale.
Con questo movimento, nella quotidianità delle nostre vite, nell’attualità delle vicende di vite vissute sul margine del possibile, tra la tragica necessità di sfidare l’ignoto e l’ineluttabile richiamo alla vita, abbiamo incontrato il testo classico dell’Enea. Lo abbiamo studiato su fonti letterarie, attraverso le forme della finzione cinematografica, nella sua trasposizione sceneggiata. Abbiamo letto, osservato, ascoltato, ricercato, raccogliendo il maggior numero possibile di oggetti da poter manipolare e sperimentare per confondere i nostri corpi e contaminare le nostre esperienze.
Eneidi è anche un laboratorio sulla città, la rotta di un percorso verso luoghi e persone, un cammino per migrare, per aprire strade non ancora tracciate lungo le quali incontrarsi e costruire nuova comunità.
Il lavoro di scena, in costante dialogo con i paesaggi che si andranno via via esplorando, consentirà di sperimentare le potenze dei corpi e le loro capacità di incontrare l’altro: le cose, gli uomini, le donne, le strade, i vicoli, le piazze, i porti.
Il lavoro di scena mutuerà dall’Eneide la forma nomadica articolandosi come percorso ad episodi, sia in teatro sia come intervento site specific. Con la scena, proveremo a far emergere una comunità. La comunità risulterà dal confronto corporeo con gli elementi del paesaggio, sperimentando azioni fisiche e possibilità narrative inedite, alla maniera di un corpo collettivo costitutivamente e virtuosamente capace di superare categorie, discriminazioni ed emarginazioni.
L’uomo si muove, l’uomo non finisce mai di muoversi nella sua trasformazione. L’uomo, in quanto elemento di natura, come ogni altro elemento di natura, animato e non, procede senza posa nel continuo produrre e cedere, prendere e perdere. L’Eneide è la forma espressiva di un movimento, questo è quello che ci si pone dinanzi e che noi interpelliamo. Dell’Eneide ci interessa la trasformazione dei corpi, le contrazioni muscolari e gli orizzonti riflessi: non la meta ma il viaggio, il procedere. E ancora gli approdi temporanei, le impronte lasciate e le tracce, gli indizi, necessari a suggerire il cammino.
L’incedere in qualunque sua forma chiama a raccolta l’altro, un mondo intero che ti viene incontro: senza qualcuno che ti indichi la strada, che ti sollevi quando inciampi, che ti racconti una storia è impossibile muoversi. Senza l’altro, senza il mondo che si muove, ci rimane in mano solo un nome, una sgualcita carta di identità.
Enea oggi ci parla, ci può dare delle indicazioni, delle suggestioni su cosa è possibile fare, su cosa è lecito aspettarsi, e allo stesso tempo sulle azioni, gli obiettivi che non è più possibile darsi, che non è più lecito avere. Enea si muove a ritroso, per fondare una città già fondata, per dare un ethos ad una città già adulta. Una città che deve cantare la sua magnificenza e che vuole ancorarsi ad essa. Enea si muove a confermare e a conservare l’esistente. Una sorta di veglia del già dato. Però. Però muove dall’abbandono di un’altra città, scacciato dai lidi e dalle mura che lo avevano ospitato. Raccoglie i suoi e si muove. Parte, si sposta. Si muove, prende il vento e trasforma la sua stanzialità in un provvisorio nomadismo. Certo Enea vuole una meta, vuole porre fine ai suoi infiniti sconfinamenti e noi non siamo qui ad accoglierlo come il campione dell’ethos, piuttosto ci può condurre al movimento, alla variazione continua di confini.
La fondazione è la stasi e la stasi è una illusione. Lavorare sull’immobilità significa mostrare l’inevitabile movimento del corpo e dell’organismo.
Così come Enea cerca una fondazione, una stasi, anche il nostro lavoro si interroga sulla sospensione del movimento ben sapendo che non ci può essere stasi. Non esistono corpi che non siano in movimento.
La messa in scena è questa trazione tra l’illusione di potersi fermare e la necessità del movimento al quale noi, al pari di tutti gli altri organismi del cosmo, siamo destinati.
La scena è il tentativo, destinato sempre a fallire ma sempre reiterato, di mostrare il processo senza contenuto.
© foto b/n di Bruno Federico
© foto colore Giovanni Breda